Hablaba hace unos días con un amigo italiano, Valentino, sobre la política de ‘kilómetro cero’, que se defiende en todos los países europeos; pero con distintas denominaciones. Valentino me ponía el ejemplo del tomate San Marzano, producido en el sur de Italia. Se trata en definitiva de promocionar el consumo de los productos que se cultivan en el propio territorio. Detrás de esta política teóricamente se busca la supervivencia de los agricultores locales, sostener en lo posible la idea del autoabastecimiento para no depender tanto de las importaciones y, de camino, ayudar al medio ambiente con aquello de la huella del carbono (transporte, logística, asfalto).
Pero eso es la teoría, sin embargo, la realidad de los hechos, la práctica, suscita varias dudas. En primer lugar el precio. ¿Cómo se explica que siendo productos próximos no sean más baratos? Nos podemos encontrar excepciones en las que sí son más económicos, pero generalmente su precio no es menor que el producto que viene importado. Si no se repercute ni el transporte ni muchas veces el envasado, entonces, ¿con qué márgenes juegan esos productores que viven bajo el amparo del ‘kilómetro cero’? En Alemania, por ejemplo, en este momento todos los productos frescos locales de temporada se cobran mucho más caros que los que son importados de otros países europeos, como España. Los consumidores alemanes pagan en verano por los tomates de su país el doble de lo que les cuesta los que son enviados en camión desde España.
Luego está el argumento tergiversado de la agricultura ecológica, como si fuese incompatible este tipo de técnicas con la exportación. Se confunde al ama de casa y vemos en esos mercadillos locales de media Europa a los comerciantes asegurando que sus tomates, pimientos o pepinos sí son ecológicos, no usan fitosanitarios y respetan la naturaleza. Vale, es posible, pero eso mismo ocurre con las producciones que se crían a varios miles de kilómetros de distancia. La ignorancia del consumidor aquí juega a favor de los comerciantes interesados.
Quiero rescatar a modo de conclusión un mensaje que me ha enviado Pedro, un lector de este blog, que sirve como reflexión sobre el agropatriotismo, que es lo que late como trasfondo en este nuevo escenario: «El año pasado estuve un largo periodo en el Reino Unido en verano y observe algo similar, productos origen España en promoción todo el período y origen Reino Unido con su bandera puesta en los envases, a su precio habitual. Era curioso el tema del melón a 1£ la pieza y los 250 gramos de fresa origen Reino Unido a 5£. ¿¿¿Esto es ‘marca España’???».
Nasce l’agropatriottismo, la ‘politica del chilometro zero’ o consumo di prodotti locali
Parlavo pochi giorni fa con un amico italiano, Valentino, sulla politica del ‘chilometro zero’, che è sostenuta in tutti i paesi europei, ma con diverse denominazioni. Valentino mi ha fatto l’esempio dei pomodori San Marzano, prodotti nell’Italia meridionale (Zona denominata Agro Nocerino-Sarnese; San Marzano è infatti un paese sito nelle vicinanze sia di Sarno che di Nocera). Si tratta in pratica di promuovere il consumo dei prodotti coltivati nel proprio territorio. In teoria, alla base di questa politica si cerca la sopravvivenza degli agricoltori locali, appoggiando l’idea di autosufficienza ove possibile per non dipendere cosi tanto dalle importazioni e allo stesso tempo aiutare l’ambiente con minori emissioni di carbonio (trasporti, logistica, asfalto).
Ma questa è la teoria. Comunque, la realtà dei fatti, la pratica, solleva parecchi dubbi. Prima di tutto il prezzo. Come si spiega che essendo prodotti prossimi non costino di meno? Possiamo trovare delle eccezioni in cui sono più economici, ma di solito il loro prezzo non è inferiore a quello del prodotto che viene importato. Se non devono preoccuparsi del trasporto e spesso nenmeno del’imballaggio, allora, che margini hanno quei produttori che vivono sotto l’appoggio del ‘chilometro zero’? In Germania, ad esempio, in questo momento tutti i prodotti freschi locali di carattere stagionale sono molto più costosi di quelli che vengono importati da altri paesi europei come la Spagna. I consumatori tedeschi pagano in estate per i pomodori del loro paese il doppio di quello che costano quelli che vengono inviati in camion dalla Spagna.
Poi c’è l’argomento travisato dell’agricoltura biologica, come se questo tipo di tecniche fosse incompatibile con l’esportazione. Si confonde la casalinga e vediamo in questi mercati locali di mezza Europa i commercianti che garantiscono i loro pomodori, peperoni o cetrioli come ecologici, coltivati senza usare fitosanitari e rispettando la natura. Certo, è possibile, ma succede lo stesso con le produzioni che si coltivano a più chilometri di distanza. L’ignoranza dei consumatori va a vantaggio dei commercianti interessati.
Voglio recuperare in conclusione un messaggio che mi ha mandato Pedro, un lettore di questo blog, che serve come una riflessione sul agropatriottismo, che è quello che batte come sfondo in questo nuovo scenario: «L’anno scorso sono stato un lungo periodo nel Regno Unito e ho osservato qualcosa di simile, dei prodotti origine Spagna in promozione per tutto il periodo e origine Regno Unito con la sua bandiera nei pacchetti, al suo prezzo normale. Era curioso il tema del melone a £ 1 il pezzo ed i 250 grammi di fragole origine Regno Unito a £ 5. Questo è ‘marchio Spagna’???».